Bread and Roses: i diritti dei lavoratori

Bread and Roses: i diritti dei lavoratori

Da sempre i lavoratori sono dovuti ricorrere a proteste e scioperi per ottenere un miglioramento delle proprie condizioni lavorative. Inizialmente anche i diritti fondamentali non venivano riconosciuti a una grande porzione dei lavoratori. In qualche caso, anche al giorno d’oggi, purtroppo, questa situazione ancora si verifica in alcuni ambienti lavorativi. Gli enti incaricati a rappresentare i lavoratori, a risolvere i problemi e a lottare per maggiori diritti sono i sindacati, che possono agire sia in maniera indiretta, negoziando con i datori di lavoro, sia in maniera diretta organizzando scioperi e proteste.

“Bread and Roses”, film del regista inglese Ken Loach uscito nel 2000, racconta le condizioni dei lavoratori negli anni Novanta in America, in particolar modo quelle dei pulitori di un’impresa di pulizie a Los Angeles. Il titolo del film deriva da uno slogan del 1912 pronunciato durante uno sciopero dei lavoratori del settore tessile. La protagonista è Maya, una donna che emigra clandestinamente dal Messico negli Stati Uniti per raggiungere sua sorella maggiore Rosa a Los Angeles, dove la sorella, Rosa, lavora come pulitrice. Anche Maya verrà assunta nell’impresa di pulizie per cui lavora Rosa. La protagonista entra così a diretto contatto con le pessime condizioni in cui lavorano gli operai: nessuna assicurazione, stipendio basso… Come se non bastasse, perdere il posto risulta molto semplice dato che il datore di lavoro può decidere di licenziare chiunque in qualsiasi momento per ogni minimo errore. Durante una giornata lavorativa incontra un ragazzo di nome Sam che lavora per un sindacato e che si era introdotto nell’edificio. Maya stessa lo aiuterà a scappare durante un rocambolesco inseguimento da parte degli addetti alla sicurezza. Qualche giorno dopo, il ragazzo fa visita a casa di Maya e fa notare a lei e alla sua famiglia i pochi diritti concessi dall’impresa e lo scarso stipendio percepito confrontandolo anche con dei dati e buste paga di altre imprese risalenti a circa 17 anni prima. Di fronte all’esposizione di Sam, Rosa reagisce in modo sgarbato e caccia il giovane di casa. Teme che una eventuale rivendicazione possa farle perdere il lavoro. Qualche tempo dopo, Maya, con l’aiuto di Sam, riesce ad organizzare una riunione con il sindacato, nonostante alcuni dipendenti, tra cui sua sorella, si trovino in disaccordo con la proposta. Durante l’incontro, Sam espone le proprie idee volte a migliorare le condizioni lavorative degli operai dell’impresa e le appunta su un foglio. La situazione precipita proprio quando viene scoperto il foglio con gli appunti: alcune persone vengono minacciate e una tra queste viene licenziata perché non rivela il nome dell’organizzatore della riunione. Nonostante sempre più colleghi siano scettici di fronte all’idea di collaborare con il sindacato, Maya non si scoraggia e con il tempo riesce ad organizzare una grande protesta che coglie l’attenzione dei mass media. Per interrompere la protesta, intervengono le forze antisommossa della polizia che arrestano numerose persone. Ciò non basta a fermare i lavoratori che, spinti dalla voglia di ottenere migliori condizioni lavorative, non si arrendono.

Al termine di tutto ciò, l’impresa si vede costretta a riassumere le persone licenziate e a concedere ai suoi operai maggiori diritti quali stipendio più alto, assistenza sanitaria e ferie pagate. Dopo questa grande vittoria, Maya non può festeggiare con i suoi colleghi. Qualche tempo prima, per aiutare un suo collega, che era stato licenziato in precedenza, ad iscriversi all’università, aveva rubato circa milleottocento dollari ad un distributore di benzina. Questo gesto le costa caro: la ragazza viene punita con espulsione dagli Stati Uniti d’America.

Anche se il film è uscito nel 2000, le tematiche che affronta risultano particolarmente attuali. Numerose volte sentiamo parlare di condizioni e ambienti lavorativi non vantaggiosi per i lavoratori. Prima di tutto, il cosiddetto lavoro “a nero” che, al contrario di quanto si possa pensare, tutt’ora riguarda innumerevoli persone. Quando un uomo lavora “a nero”, non dispone di alcuna assicurazione e non paga alcuna tassa sullo stipendio che percepisce, dato che non firma alcun contratto. Molte persone immigrate (come Maya e i suoi colleghi), che non dispongono di permesso di soggiorno o non possono procurarsi i documenti per svolgere un lavoro regolare, si trovano costrette ad intraprendere questa strada. Il loro datore di lavoro può utilizzare a proprio vantaggio questa mancanza, può sfruttare i lavoratori, ad esempio assegnando loro un turno molto lungo, pesante e poco retribuito. Per porre fine a tutto ciò, bisogna essere determinati a cercare una soluzione e trovare un modo per renderla effettiva anche attraverso l’aiuto di un sindacato. Ad oggi, i dati dimostrano che le persone che lavorano irregolarmente in Italia sono circa tre milioni. Il guadagno generato tra il 2018 e il 2021 attraverso l’economia non osservata, ha raggiunto quasi 200 miliardi (fonte ISTAT – “L’economia non osservata nei conti nazionali” – Triennio 2018 – 2021). 

Molto spesso l’unico modo per essere ascoltati e rivendicare un proprio diritto è manifestare attraverso scioperi e proteste. Se ad oggi le cose sono, in parte, cambiate dobbiamo ringraziare le persone come Maya che non si sono arrese ed hanno lottato fino alla fine, finché non ne sono uscite vincitrici.

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