VITERBO CONTRO IL FASCISMO
i fatti del 1921-1922
A Viterbo pochi sanno che durante gli anni che vanno dal 1920 al 1921, la popolazione locale, senza l’aiuto di quasi nessuna istituzione, ha dovuto fronteggiare le squadracce fasciste, per impedire di prendere il sopravvento in città ed imporsi nel municipio.
Gli avvenimenti di questo biennio, non sono molto conosciuti, nonostante accadano proprio nella città dove noi tutti andiamo, per studiare, per fare compere o molto più semplicemente perché la abitiamo o usciamo con i nostri amici.
Gli avvenimenti iniziano il 10 Luglio del 1921, giorno dell’inaugurazione del gagliardetto del fascio locale, a Viterbo si riuniscono più di 200 fascisti da tutti i comuni limitrofi, Orvieto soprattutto, ed invece di seguire il percorso prestabilito, si dirigono al centro città, dove iniziano cori e sfoggio di bandiere.
La situazione rimane sotto controllo, senza però nascondere tensione e irritazione da parte della popolazione, è proprio da questo che dopo un litigio tra fascisti e dei cittadini, il primo gruppo si scatena, tentando di entrare in città, in 7 riescono ad entrare, iniziando a deturpare e vandalizzare tutto ciò che gli veniva a tiro, proprio durante questi atti deplorevoli viene ucciso volontariamente sull’uscio di casa Tommaso Pesci, un 54enne contadino, che non aveva nulla a che fare con le proteste o i dissapori di poche ore prima, 4 del gruppo dei miliziani vengono successivamente arrestati, e sulla città cala un silenzio relativo.
Il giorno successivo l’11 Luglio il clima è molto teso, ci si trova quasi in una situazione di assedio, la popolazione è allertata, e le forze dell’ordine locali sono ovunque, per impedire movimentazioni fasciste è imposto l’obbligo di circolazione sulle auto di una persona alla volta, tuttavia questo, causerà un altro tragico evento.
Quella stessa mattina era arrivata la notizia di un nuovo arrivo di squadracce fasciste a Viterbo, e proprio per questo quando l’auto di Lucille Becket Czernin, moglie del già ambasciatore dell’Austria-Ungheria presso la Santa Sede e con lei, i suoi tre figli, e l’autista, passa davanti le mura della città, viene scambiata per un convoglio fascista, e numerose raffiche di colpi vengono esplose, causando la morte di Jaromir, un dei figli della donna, e ferendo tutti i passeggeri.
Non molti sanno che a ricordo di questa morte, è stata posta una croce di pietra in viale Raniero Capocci, vicino porta Romana.
A seguito di questo specifico evento, la sera del 12 luglio, i fascisti vengono finalmente allontanati da Viterbo, assieme al Cav. Meta, accusato di cattiva gestione della situazione.
A concludere gli avvenimenti del 21 e a esacerbare gli animi avviene l’omicidio di Mellito Amorosi, noto fascista di mestiere pirotecnico, che aveva preparato delle bombe per il 10 luglio, fortunatamente mai esplose. La vendetta viene portata a termine dagli Arditi del Popolo, noto gruppo antifascista del tempo, nato proprio in quel periodo in tutta Italia.
L’11 Luglio del 22, un nuovo delitto muove la stabilità precaria che si era affermata, il fascista Francesco Ricci, viene assassinato da un comunista a Vitorchiano, causando un raduno di gruppi fascisti, intenti ad andare a Viterbo.
Il sottoprefetto, il colonnello Franco ed il capitano Tomassucci, tentano una mediazione col numeroso gruppo, accordandosi per un incontro col sindaco, al quale avrebbero partecipato un manipolo di rappresentanti del gruppo, mentre gli altri avrebbero aspettato fuori città, nelle campagne.
Il sottoprefetto chiede anche rinforzi dalla capitale, che mai arrivano, Viterbo viene lasciata a se stessa, contro un innumerevole gruppo di assalitori.
In città si introducono oltre 130 fascisti, a contrario dei 30 accordati, e due di loro parlano col sindaco, il tono feroce ed intimidatorio, portava alla luce la volontà di far dimettere l’allora sindaco e gli viene dato un tempo di 10 giorni per decidere.
Il malcontento dei Viterbesi era palpabile, nessuno voleva che i fascisti si inserissero nella giunta comunale e le proteste ne sono la conferma, si sottolinea un’unità del popolo contro questi avvenimenti.
Il 21 luglio il sindaco rigetta le intimidazioni, restando a capo della città.
Per quanto gli avvenimenti del 22, non riportarono scene di assedio vero e proprio come quelli del 21, anch’essi rimarcano l’unità e la volontà di Viterbo, che in un periodo complicato e difficile, riesce a restare al suo posto, come uno dei pochi focolai della resistenza contro l’avvento del fascismo in Italia.
Per quanto gli avvenimenti furono importanti a livello nazionale, oggi sono poco conosciuti, soprattutto la triste storia di Pesci e della famiglia Czernin, per le quali ormai, come testimonianza dei fatti successi, esiste solo quella croce in viale Raniero Capocci.
Luca Famiani