Tra le aule della scuola e i corridoi dei tribunali:

Tra le aule della scuola e i corridoi dei tribunali:

Le voci della legalità

La mafia uccide il silenzio pure

Peppino Impastato

Ogni anno il 21 marzo primo giorno di primavera in Italia, su impulso dell’Associazione Libera fondata fra gli altri da Don Luigi Ciotti, si svolge la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. A maggio si rievoca il sanguinoso attentato a Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, a luglio, quando le scuole son chiuse son previste le celebrazioni per la figura di Paolo Borsellino. Tutti sappiamo chi siano questi eroi ma non tutti sappiamo che stagione fu quella del 1992 e quali conseguenze comportò un periodo storico del genere. Per quanto ci riguarda abbiamo passato un’estate fra un Erasmus e un po’ di vacanze a interrogarci quali siano state le conseguenze di tali avvenimenti e lontani da voler capire tutto ci abbiamo tenuto a chiarire qualche punto e la vogliamo ripresentare in questo articolo.

LA MAFIA OTTOCENTESCA

La mafia italiana è un fenomeno sociale che ha radici antiche e complesse, non esiste una data precisa per la sua origine, ma molti studiosi collocano la sua creazione  tra il 1860 e il 1876. La povertà non sembra essere la causa principale della nascita della malavita , poiché la Sicilia post-unitaria aveva un PIL simile al resto d’Italia. La chiave sembra essere la capacità dei gruppi criminali di colmare il vuoto di potere lasciato dalla fine del feudalesimo nel 1812, offrendo protezione alle terre dei baroni.

La mafia si infiltrò  nell’economia in vari modi che includeva l’estorsione,il controllo dei mercati locali,l’usura e la gestione di attività illegali come il contrabbando. Quindi la mafia  lavora  nella debolezza delle istituzioni statali e sfruttò le debolezze economiche della comunità per potenziare il suo potere, attraverso il controllo delle produzioni agricole e del commercio locale, imponendo delle tasse e delle condizioni che favorivano i suoi interessi.La malavita era anche coinvolta nella gestione delle risorse locali, come l’approvvigionamento d’acqua e le terre agricole, esercitando il controllo sulle questioni vitali della comunità. Questo potere che aveva la mafia ha come obiettivo di plasmare le dinamiche sociali ed economiche. 

La legittimazione della violenza da parte dei potenti, in particolare durante la spedizione dei Mille di Garibaldi, contribuì alla crescita della mafia. La mafia divenne il braccio armato di Garibaldi nella lotta contro il potere borbonico. Inoltre collaborò anche nella repressione dei Fasci(ovvero delle leghe che protestarono per l’aumento dei prezzi primari )siciliani nel 1893 chiedevano riforme sociali e la redistribuzione delle terre. 

In quegli anni la mafia era suddivisa in mafia dei padroni,dei latifondisti e dei nobili,e poi c’è la mafia della popolazione che era molto estesa da non poter essere chiarita da alcun estraneo al sistema di vita della Sicilia.

Nel 1860 Liborio Romano, ministro degli Interni , incaricò il capo della camorra Salvatore De Crescenzo di mantenere l’ordine pubblico a Napoli dopo la fuga del Re Francesco II.

Dopo l’annuncio  del Regno d’Italia avvenuto nel 1861, molti giovani  che avevano partecipato alla Spedizione dei Mille si diedero alla violenza e parteciparono alla famosa rivolta del sette e mezzo nel 1866 il cui obiettivo era quello di una  restaurazione borbonica e clericale. 

La Sicilia, in particolare, era caratterizzata da povertà diffusa, analfabetismo e una struttura sociale fortemente gerarchica.

Molte zone rurali della Sicilia dipendono dall’agricoltura, e la mafia emerge in parte come una risposta alla mancanza di ordine e giustizia nelle campagne. La mafia offriva una forma di giustizia alternativa e, in alcuni casi, agiva come intermediaria tra i contadini e i proprietari terrieri.Nel corso degli anni, la mafia ha cercato di infiltrarsi nelle istituzioni politiche e amministrative per proteggere i propri interessi e godere di una certa impunità. Questa infiltrazione coinvolge spesso il clientelismo, con esponenti politici corrotti che fornivano protezione e favori in cambio di sostegno elettorale.

Due anni dopo, si formò una Commissione d’inchiesta sulle condizioni economiche e della popolazione di Palermo.Nel 1884, il prefetto di Reggio Calabria Giorgio Tamajo che fu un politico e senatore del regno d’Italia  pubblicò  un rapporto in cui denunciò l’esistenza di “camorristi e mafiosi” che praticavano all’’estorsione. Questo rapporto fu  importante perché dava la consapevolezza ai cittadini  che la mafia esisteva veramente.La criminalità organizzata si radicò sostituendo lo stato nella zona occidentale della Sicilia.In questo periodo la mafia italiana  si radicò anche  in America perchè alla fine del XIX secolo molti italiani emigrarono,per  causa della povertà dovuta dalla crisi agraria .

La mafia in America a inizi 900 fu contrastata  da Joe Petrosino, un poliziotto americano di origini siciliane, che si recò a Palermo, dove, per più di un mese, riuscì a scoprire molte pieghe interne dell’organizzazione malavitosa. Il 13 marzo, mentre tornava nel suo albergo, fu ucciso. 

Quello che emerse nella sua indagine fu la divisione dell’atteggiamento di fronte al fenomeno mafioso: da una parte il territorio siciliano era  spartito dai mafiosi e sfruttatori, e dall’altra   un elevato numero di persone, per paura, taceva, pur odiando i metodi mafiosi.

Tra il 1900 e il 1910, la mafia in Sicilia si scontra con i partiti socialisti e sindacalisti, considerati nemici. La polizia e i Carabinieri, influenzati dal potere politico locale legato ai mafiosi, reprimono questi movimenti senza esitazione.La mafia si radica principalmente nella zona occidentale della Sicilia, sostituendo in parte il ruolo dello Stato. Nel corso degli anni ’10, si sviluppa un sistema di voto controllato dai mafiosi, che minacciarono gli elettori per costringerli a votare  i candidati mafiosi.Nel tempo, la mafia urbana si sviluppa, introducendo il racket della “protezione” e facilitando l’immigrazione italiana e il contrabbando di merci, come alcolici durante gli anni ’20. Durante la Prima guerra mondiale, la mafia trae profitto dall’oppressione dei braccianti e dal mercato nero degli alimentari. 

Tuttavia, la leva obbligatoria e il sistema di voto proporzionale minacciano il sistema di clientele della mafia. I contadini che tornano dal fronte sono più decisi e pronti a difendere i propri diritti, supportati dai socialisti e dalle leghe bianche cattoliche. In risposta, i mafiosi intraprendono una politica di repressione militare tra il 1919 e il 1920 uccidendo rappresentanti degli interessi popolari per instillare il terrore tra la popolazione.

LA MAFIA AMERICANA E I RAPPORTI CON LA SICILIA

Nel cuore dei bassifondi di New York alla fine del XIX secolo, emerge un’ombra sinistra: la mafia americana dapprima conosciuta come “Mano Nera”, in seguito Cosa Nostra. Ciò che era iniziato come una piccola organizzazione criminale si trasformò rapidamente in una vasta rete di potere e corruzione che avrebbe plasmato il volto della criminalità organizzata negli Stati Uniti. 

L’ascesa  fu rapida e brutale. Con una struttura piramidale strettamente gerarchica, la mafia aveva una catena di comando che si estendeva dai boss alle organizzazioni criminali operanti in diversi ambiti illeciti, compresa l’estorsione. Questa tassa sulle attività commerciali in cambio di protezione era solo l’inizio di un complesso sistema di punizione. Una svolta decisiva arrivò con il proibizionismo. Quando l’alcol divenne illegale negli Stati Uniti, la mafia americana colse l’occasione aprendo nuove frontiere al mercato nero. In città proliferarono i negozi segreti di liquori e Cosa Nostra represse il commercio illegale di alcolici, controllando tutto, dal contrabbando alla fornitura. 

La Mano Nera, in seguito, diversificò le sue attività e penetrò in settori legittimi come l’edilizia e i trasporti. La mafia controllava appalti e lavori edili corrompendo sindacati e politici, garantendo enormi profitti. Tuttavia, l’aumento del traffico di droga ha portato nuove sfide. La mafia americana era coinvolta nel traffico di droga, in particolare di eroina. Costituirono una rete internazionale per la produzione e la distribuzione dell’eroina, che coinvolse anche la mafia siciliana. Una pizzeria italiana a New York diventava il centro principale del traffico di droga, nascondendo la droga in ingredienti importati dalla Sicilia. Il governo però non è rimasto fermo. Molte leggi  sono state introdotte per combattere la criminalità organizzata e prendere di mira le famiglie di mafiosi accusati di estorsione e intimidazione. L’indagine dell’FBI ha portato a numerosi arresti, inclusi sospetti capi come John Gotti. Tuttavia, nonostante gli sforzi delle forze dell’ordine, la mafia americana non si è del tutto estinta. 

Oggi Cosa Nostra continua ad esistere e continua ad evolversi al passo con i tempi. Si sono adattati alle nuove tecnologie e alle opportunità commerciali e hanno approntato esercizi legali per coprire le attività illegali. La corruzione continua a permeare le fila della polizia e dei funzionari locali, mantenendo viva l’eredità della mafia americana, una delle organizzazioni criminali più affascinanti e terrificanti della storia americana. Durante gli anni turbolenti della Seconda Guerra Mondiale, l’ombra della mafia si diffuse oltre i confini italiani e si intrecciò con gli eventi bellici e le lotte di potere internazionali. Nel 1942, mentre il mondo era in preda alla guerra, l’Ufficio dei Servizi Strategici (OSS), il predecessore della CIA, istituì un “ufficio segreto” a Washington per preparare lo sbarco in Sicilia, un’operazione importante per gli alleati. In questa complicata danza di spie e politici è emersa una figura importante. Quello è Earl Brennan, funzionario del Dipartimento di Stato e politico repubblicano con origini italiane. Brennan fu incaricato di costruire una rete di collegamenti in Sicilia. In un momento così critico, gli Alleati decisero di utilizzare anche la mafia, nota per i suoi legami con il mondo criminale. Questa scelta può sembrare controversa, ma nelle guerre le alleanze improbabili e le decisioni pragmatiche spesso avevano la precedenza sull’etica. Lucky Luciano, un famoso gangster italo-americano imprigionato negli Stati Uniti, fu uno degli intermediari chiave. Riconoscendo l’importanza dei legami tra l’Italia e la mafia italo-americana, le autorità americane chiesero a Luciano di aiutare le forze alleate a sbarcare in Sicilia. Luciano si  dimostrò collaborativo e ha contribuito alla pianificazione operativa. In segno di gratitudine per il suo sostegno, gli Stati Uniti lo “espulsero”, consentendo così la sua partecipazione indiretta alle operazioni militari. Nel luglio del 1943, mentre le forze alleate avanzavano in Sicilia, un aereo sorvolò a bassa quota le campagne di Caltanissetta. Una borsa di nylon contenente una sciarpa con sopra scritta una “L” è stata lanciata dall’aereo. Il segnale era diretto a don Calogero Vizzini, detto don Calò, potente boss mafioso della Sicilia occidentale. La “L” sulla sciarpa era un riferimento a Lucky Luciano, collegamento simbolico tra la mafia americana e la mafia siciliana. Guidato dalle informazioni di Luciano, Don Calò (il Vizzini) incontrò il generale George Smith Patton, comandante della Settima Armata americana, e fornì preziosi consigli strategici. Questa informazione era estremamente importante per le forze alleate. Seguendo le istruzioni di Don Calò, l’esercito avanzò verso San Vito lo Capo, dividendo le forze dell’Asse e rafforzando il controllo alleato sulla Sicilia. Questa improvvisa alleanza tra le forze alleate e la mafia siciliana fu una mossa coraggiosa, ma si rivelò efficace. 

La mafia, un tempo considerata nemica dello Stato italiano, divenne una risorsa per indebolire il regime fascista. Questa complessa storia di alleanze dubbie e azioni inaspettate rivela il lato oscuro della politica e della guerra. 

La “trattativa” Mafia-Alleati

Spesso le decisioni vengono prese per necessità, anche se hanno legami con il mondo criminale. 

Nel 1907, un giovane di nome Charles Luciano (poi chiamato Lucky Luciano) fu condannato per possesso illegale di eroina e morfina. Tuttavia, nel 1920 Luciano cominciò ad immergersi nel mondo della criminalità. Durante il proibizionismo, Luciano divenne un alleato del gangster ebreo Arnold Rothstein, che forniva alcolici illegali e gestiva bische e bordelli a Manhattan. Queste attività fecero arrabbiare la mafia siciliana e offuscarono la sua reputazione. Nonostante abbia tentato più volte di essere ucciso, Luciano è sopravvissuto miracolosamente, guadagnandosi il soprannome di “Fortunato”. Luciano rifiutò il titolo di “capo dei capi” per evitare conflitti con Al Capone, ma nel 1935 aveva già creato un vero e proprio sindacato criminale negli Stati Uniti. Ma le sue fortune cambiarono quando fu arrestato nel 1936. Durante la sua prigionia, il destino di Luciano cambiò radicalmente grazie all’intervento di uno dei suoi colleghi, Joey Lanza. Lanza ha parlato di lui ai funzionari dell’Office of Naval Intelligence (ONI). L’avvocato difensore di Luciano, Moses Polakoff, si è offerto di aiutare l’ONI in cambio di una riduzione di pena per Luciano.

L’ONI poi ha inviato una lettera al direttore del carcere di New York City, chiedendo che Luciano fosse trasferito in una struttura più adatta per l’interrogatorio. Questa mossa permise agli agenti dell’ONI di stringere accordi con Luciano e altri membri della mafia e di utilizzare i loro contatti per prepararsi all’invasione alleata della Sicilia durante la seconda guerra mondiale. 

Quando Winston Churchill e Franklin Delano Roosevelt si incontrarono a Casablanca nel 1943 per pianificare un’invasione dell’Europa meridionale, l’ONI chiese al collega di Luciano, Joe Adonis, di ottenere informazioni dettagliate sulla geografia della Sicilia. Queste informazioni furono fondamentali per il successo dell’operazione Husky, l’invasione alleata della Sicilia. 


Dopo la guerra, Luciano e altri membri della mafia americana tornarono in Italia e lavorarono con la mafia locale e l’intelligence americana per influenzare la politica e le elezioni della Sicilia. La mafia rappresentava gli interessi della Democrazia Cristiana e utilizzava una strategia della tensione per opporsi al Partito Comunista. Questa alleanza tra mafia e intelligence americana ribattezzata in seguito come “Strategia della tensione” aveva lo scopo di contrastare il Partito Comunista Italiano e proteggere gli interessi occidentali durante la Guerra Fredda. 

Cosa Nostra ha continuato a svolgere un ruolo importante nella politica italiana, influenzando le elezioni e sostenendo specifici partiti politici. Ad esempio, nel 1963, durante una visita a Roma, il presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy fu informato dal presidente italiano Aldo Moro dell’influenza della mafia sulla politica italiana. Il rapporto tra mafia e governo italiano è rimasto complicato e complesso. Nel corso degli anni si è cercato di contrastare il potere della mafia attraverso l’emanazione di leggi più severe e la mobilitazione di forze dell’ordine specializzate. Tuttavia, la presenza di Cosa Nostra è rimasta saldamente radicata in molte regioni d’Italia. 

Intanto negli Stati Uniti la lotta alla mafia si intensifica con l’approvazione del Racketeering and Corrupt Organizations Act (RICO) del 1970. Questa legge ha consentito alle autorità di perseguire e perseguire intere organizzazioni criminali, inclusa Cosa Nostra. 

Negli anni ’80 il processo “Pizza Connection” mise in luce i legami della mafia americana con il traffico internazionale di droga attraverso le pizzerie. Questa azione ha portato a numerosi arresti e allo smantellamento di alcune organizzazioni criminali. 

Cosa Nostra non è scomparsa del tutto. Nei decenni successivi, le autorità continuarono a reprimere la mafia, arrestandone i membri chiave e indebolendo l’organizzazione. Nonostante alcuni boss storici, come John Gotti, furono condannati, il fenomeno mafioso non riuscì a debellarlo. La mafia americana si adattò alle nuove sfide, cambiò le sue operazioni e cercò nuovi fronti per mantenere il controllo e il profitto. Anche se la sua influenza è diminuita rispetto ai decenni precedenti, resta un fattore da considerare nella lotta alla criminalità organizzata. 

Oggi Cosa Nostra esiste in una forma diversa, meno prominente, ma pur sempre presente. La lotta contro la mafia è un processo continuo e le autorità si impegnano costantemente per contrastare le attività illegali e mantenere lo stato di diritto. La storia complessa e intricata della mafia americana riflette le continue sfide nella lotta alla criminalità organizzata in patria e all’estero.

COSA NOSTRA OGGI

“Cosa Nostra” è un termine spesso utilizzato per riferirsi alla mafia siciliana, un’organizzazione criminale di stampo tradizionale che ha radici profonde in Sicilia, Italia. La mafia siciliana è conosciuta per essere coinvolta in una vasta gamma di attività illegali, comprese l’estorsione, il traffico di droga, l’omicidio, il riciclaggio di denaro e altre forme di criminalità organizzata.

Le organizzazioni mafiose come la Cosa Nostra operano spesso in modo segreto e gerarchico. I membri giurano un giuramento di omertà, un codice del silenzio che impedisce loro di cooperare con le forze dell’ordine o di rivelare informazioni sull’organizzazione. La mafia ha una struttura gerarchica ben definita, con un capo supremo noto come il “capo di tutti i capi” o “boss dei boss,” sotto il quale ci sono vari livelli di gerarchia, tra cui i capi delle famiglie criminali locali.

La mafia siciliana ha una lunga e complessa storia, con radici che affondano nel XIX secolo. È stata oggetto di indagini e repressioni da parte delle autorità italiane e internazionali per molti decenni.

È importante notare che la mafia è illegale e dannosa sia per le comunità in cui opera che per la società nel suo complesso. Le autorità in Italia e in altre parti del mondo lavorano costantemente per combattere la mafia e perseguire i suoi membri.

Presenta alcune caratteristiche chiave che la distinguono da altre forme di criminalità organizzata. Ecco le caratteristiche principali di Cosa Nostra:

-Gerarchia: La Cosa Nostra opera con una struttura gerarchica ben definita. Al vertice c’è il “capo di tutti i capi” o “boss dei boss,” che governa su tutte le famiglie mafiose in Sicilia. Sotto di lui ci sono i capi di famiglia e vari membri con ruoli specifici, come il “consigliere” che fornisce consulenza al boss.

-Omertà: L’omertà è un codice del silenzio che impone ai membri della Cosa Nostra di non cooperare con le autorità o rivelare informazioni sull’organizzazione. La violazione dell’omertà è punita con la morte o altre severe rappresaglie.

-Estorsione: Cosa Nostra è nota per l’estorsione, cioè il ricatto o il prelievo di denaro dalle imprese e dalle persone in cambio di “protezione”. Questa attività è una delle principali fonti di reddito per la mafia.

-Traffico di droga: Cosa Nostra è coinvolta nel traffico di droga a livello internazionale. Ha stabilito connessioni con altre organizzazioni criminali in tutto il mondo per facilitare il traffico di cocaina, eroina e altre droghe.

-Riciclaggio di denaro: La mafia siciliana è coinvolta nel riciclaggio di denaro sporco attraverso investimenti in attività legittime, come l’immobiliare, le attività commerciali e le istituzioni finanziarie.

-Riti e simboli: Cosa Nostra ha una serie di rituali e simboli distintivi che i membri devono seguire. Questi rituali includono il bacio del capo durante la cerimonia di affiliazione e la bruciatura di una fotografia di un santo cattolico mentre si recita il giuramento.

-Territorio: La mafia è divisa in diverse famiglie che controllano territori specifici. Queste famiglie competono tra loro e occasionalmente si scontrano in conflitti per il controllo dei territori o per altre questioni.

-Corruzione: La mafia cerca spesso di infiltrare le istituzioni locali e governative attraverso la corruzione di funzionari pubblici. Questo gli consente di influenzare le decisioni politiche e di evitare l’azione legale.

-Vendetta: La vendetta è una parte significativa della cultura mafiosa. Quando un membro viene ucciso o tradito, la sua famiglia può cercare vendetta per preservare l’onore e il rispetto della famiglia.

GIOVANNI FALCONE

Giovanni Falcone è stato un magistrato italiano noto per il suo ruolo nella lotta contro la mafia in Sicilia che subì un attentato mortale avvenuto il 23 maggio 1992; divenne pioniere nel combattere la mafia attraverso indagini finanziarie ed ha contribuito in modo significativo a smantellare le reti criminali in Italia. 
Il 23 maggio 1992, mentre Falcone viaggiava lungo l’autostrada A29 verso Palermo con la sua scorta e sua moglie Francesca, un sicario di Cosa Nostra di nome Giovanni Brusca azionó una carica esplosiva di cinque quintali di tritolo posizionata in una galleria sotto la strada. L’esplosione colpì in pieno la macchina della scorta, uccidendo i tre agenti a bordo. La macchina di Falcone si schiantò contro un muro di cemento causato dall’esplosione, e sebbene ferito, il giudice era ancora vivo.

Falcone morì durante il trasporto in ospedale a causa del trauma cranico e delle lesioni interne causate dall’impatto contro il parabrezza, sua moglie Francesca perse la vita in ospedale quella sera. 

L’agente Costanza, che era nella macchina con il giudice, rimase illeso, mentre gli agenti della terza automobile rimasero feriti ma non in pericolo di vita.

L’attentato fu ideato da “Cosa Nostra”, il nome comune per la mafia siciliana, una delle organizzazioni criminali più potenti e pericolose al mondo. Fondata in Sicilia, Italia, Cosa Nostra è stata coinvolta in attività criminali come l’estorsione, il traffico di droga, il gioco d’azzardo illegale e l’omicidio. 

Questo attentato rappresenta un cambiamento significativo nella strategia della mafia, passando da semplici omicidi con armi da fuoco ad un grande attentato con l’utilizzo di esplosivi per colpire Falcone e la sua scorta. L’assassinio di Giovanni Falcone fu un colpo terribile per la lotta alla mafia in Italia, ma ha anche avuto l’effetto contrario. La sua morte scosse profondamente l’opinione pubblica e mobilitò il paese contro la mafia. La sua eredità di coraggio e impegno nella lotta contro il crimine organizzato è ancora viva e continua a ispirare coloro che combattono la mafia in Italia e nel mondo. La data dell’attentato, il 23 maggio, è oggi osservata come la “Giornata della Legalità” in Italia per onorare la memoria di Falcone, Morvillo e di tutte le altre vittime della mafia.

Maxi Processo contro Cosa NostraIl motivo di tale odio verso il magistrato da parte di Totò Riina e la sua cosca è dovuto al “Maxiprocesso” contro la mafia che è stato un celebre processo giudiziario in Italia che ebbe luogo a Palermo tra il 1986 e il 1987. Questo evento storico  coinvolse più di 450 imputati, principalmente membri di Cosa Nostra, la famigerata organizzazione criminale siciliana, che aveva raggiunto un livello estremo di potere e controllo in Sicilia e in altre parti d’Italia.  Per arrivare a tal risultato bisogna però partire da lontano: Nel 1979, Rocco Chinnici (anche lui vittima di mafia) propose la creazione di un gruppo di magistrati coordinato per indagare sulla criminalità organizzata, e Giovanni Falcone si unì a questo pool come giudice istruttore. Falcone è noto per aver introdotto il “Metodo Falcone,” che consisteva nell’investigare il flusso di denaro e le attività finanziarie della mafia. Il “Maxiprocesso” fu notevole perché rappresentò uno sforzo massiccio da parte delle autorità italiane per smantellare l’organizzazione mafiosa in Sicilia attraverso il sistema giudiziario.

Il dibattito processuale fu caratterizzato dall’uso di testimonianze di pentiti (ex membri della mafia che avevano deciso di collaborare con la giustizia), misure straordinarie di sicurezza per proteggere i testimoni e una massiccia attenzione mediatica. 
Il “Maxiprocesso contro Cosa Nostra” condotto da Giovanni Falcone aveva come obiettivo principale portare a giudizio centinaia di membri di Cosa Nostra, compresi molti capi di alto livello dell’organizzazione criminale.
Quest’ultimo  è stato portato avanti da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, facendoli lavorare insieme per mettere in atto un processo storico contro la mafia. Il processo si è svolto a Palermo, ma è stato preparato all’Asinara, un’isola-carcere al largo della costa sarda. Lì, i due magistrati hanno scritto la requisitoria del processo, che ha portato ad una serie di importanti condanne contro i membri di Cosa Nostra e altri individui legati alla criminalità organizzata in Sicilia. Alla fine del processo, 338 degli oltre 450 imputati furono condannati, molti dei quali a lunghe pene detentive. Tra i condannati c’erano alcuni dei principali boss mafiosi, compresi Salvatore “Totò” Riina e Michele Greco. Queste condanne rappresentano un colpo significativo contro la mafia e un importante passo avanti nella lotta contro il crimine organizzato in Italia. Tuttavia, va notato che nel corso degli anni molti condannati hanno ottenuto riduzioni di pena o sono stati rilasciati, e la mafia ha continuato a esistere, sebbene indebolita.

Sono state fatte anche minacce e attentati contro Falcone, incluso un tentativo di attentato alla sua residenza estiva. negli ultimi tempi Falcone ha condiviso con la stampa la sua amara consapevolezza che in Italia, per essere credibili, bisogna essere uccisi, visto che da più parti si iniziava a mettere in discussione il suo lavoro, insieme a quello di Paolo Borsellino. Nonostante le minacce ed i rischi, il Maxiprocesso ha rappresentato un momento cruciale nella lotta contro Cosa Nostra e ha dimostrato che lo Stato non avrebbe tollerato alcuna forma di convivenza con la mafia.

PAOLO BORSELLINO

Paolo Emanuele Borsellino nato a Palermo il 19 gennaio 1940 nel quartiere popolare della Kalsa, dove, durante le tante partite a calcio nel quartiere, conobbe Giovanni Falcone, più grande di lui di otto mesi, con il quale instaurò un’amicizia mai incrinatasi. Dopo aver frequentato le scuole dell’obbligo, Paolo si iscrisse al liceo classico “Giovanni Meli” di Palermo. Durante gli anni del liceo diventò direttore del giornale studentesco “Agorà”. L’11 settembre 1958 si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Palermo. Il 27 giugno 1962, all’età di ventidue anni, Borsellino si laureò con 110 e lode con una tesi su “Il fine dell’azione delittuosa” con relatore il professor Giovanni Musotto. Nel 1963 Borsellino partecipò a un concorso per entrare in magistratura italiana, riuscì ad entrare e divenne il magistrato più giovane d’Italia. Nel 1967 fu nominato pretore a Mazara del Vallo. Nel 1969 fu pretore a Monreale, dove lavorò insieme a Emanuele Basile, capitano dell’Arma dei Carabinieri.

Nel 1975 Borsellino venne trasferito presso l’Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo, dove continuò l’indagine sui rapporti tra i mafiosi di Altofonte e Corso dei Mille cominciata dal commissario Boris Giuliano, lavorando sempre insieme con il capitano Basile.

Il 4 maggio 1980 il capitano Basile venne assassinato da Cosa Nostra e fu decisa l’assegnazione di una scorta alla famiglia Borsellino. Il giudice Borsellino si occupò quindi delle indagini sull’omicidio del capitano Basile, che durarono circa un anno e si conclusero con il rinvio a giudizio dei tre mafiosi Vincenzo Puccio, Armando Bonanno e Giuseppe Madonia come esecutori materiali; nonostante le prove schiaccianti che li incastravano, il giudice che li doveva processare rinviò tutti gli atti indietro a Borsellino, disponendo una nuova perizia che mancava, e nel nuovo processo che si aprì i tre furono assolti per insufficienza di prove per poi darsi alla latitanza. Il tortuoso iter processuale si concluse soltanto nel 1992, quando si giunse finalmente alla condanna definitiva dei mandanti dell’omicidio Basile e dell’unico esecutore rimasto in vita.

Il pool antimafia di Palermo: una rivoluzione nella lotta alla mafia

Prima dell’istituzione del pool antimafia, l’Italia attraversava un periodo turbolento caratterizzato da tensioni politiche, crescente potere della mafia e una diffusa percezione di impotenza delle istituzioni. Le indagini sulla mafia erano condotte in modo frammentario e senza un criterio ben preciso.Ogni giudice dell’Ufficio Istruzione di Palermo lavorava in solitaria, senza condividere le informazioni con i colleghi. Questo approccio rendeva difficile avere una visione ampia del fenomeno mafioso e rendeva più facile per Cosa Nostra infiltrarsi nelle istituzioni e nella società civile.

Il ruolo determinante di figure come Rocco Chinnici, Giovanni Falcone e Giuseppe Di Lello nel pool antimafia ha segnato una svolta nella lotta contro la criminalità organizzata. Ogni membro del pool contribuì con una visione unica e con specifiche competenze investigative. Falcone, ad esempio, si distinse per le sue intuizioni riguardo alle connessioni finanziarie della mafia, mentre Di Lello si concentrò sulla rete di rapporti tra la mafia e le istituzioni locali.

La svolta di Rocco Chinnici

Questa situazione cambiò radicalmente nel 1980, quando Rocco Chinnici, a capo dell’Ufficio Istruzione, decise di istituire un pool di magistrati specializzati nella lotta alla mafia. Il pool era composto da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Giuseppe Di Lello, tre giovani magistrati determinati a fare luce sul fenomeno mafioso.

Il pool antimafia: un successo straordinario

Il pool antimafia ha rappresentato una svolta epocale nella lotta alla mafia. Grazie a un lavoro di squadra incessante e a un approccio innovativo alle indagini, il pool è riuscito a ottenere risultati straordinari.

In particolare, il pool è stato responsabile dell’istruzione del maxiprocesso di Palermo, che si è concluso nel 1987 con la condanna di 360 mafiosi. Il maxiprocesso è stato un evento di portata storica, che ha rappresentato un duro colpo per Cosa Nostra.

L’attentato a Chinnici


La lotta contro la mafia è stata una strenua battaglia costellata da coraggio e sacrificio. Il pool antimafia ha sempre operato in un clima di costante pericolo, essendo oggetto di ripetuti attacchi orchestrati dalla spietata Cosa Nostra. La ferocia con cui la mafia ha cercato di intimidire e fermare i membri del pool ha dimostrato la determinazione di mantenere il suo potere e la sua influenza sulla società.

Il tragico 29 luglio 1983 rimarrà impresso nella memoria collettiva: Rocco Chinnici, figura eminente e coraggiosa della magistratura, fu vittima di un vile attentato, ucciso da un’esplosione dirompente causata da un’autobomba piazzata sotto la sua abitazione. La sua scomparsa rappresentò non solo una perdita devastante per la magistratura, ma anche un duro colpo per l’intera società civile, che aveva trovato in lui un paladino dell’onestà e della legalità.

L’eredità del pool antimafia

L’eredità del pool antimafia va ben oltre le sentenze emesse e le inchieste condotte. Ha rappresentato un’ispirazione per un nuovo modo di affrontare la criminalità organizzata, promuovendo la collaborazione tra istituzioni, società civile e media. Questo modello ha spinto la società italiana a mobilitarsi in modo più vigoroso contro la mafia, incoraggiando una maggiore consapevolezza e partecipazione attiva nella lotta per un Paese più giusto e libero da influenze criminali.

Inoltre, il pool antimafia ha contribuito a rafforzare il sistema giudiziario italiano, evidenziando la necessità di investire in risorse e formazione per i magistrati e le forze dell’ordine, al fine di contrastare in modo efficace e continuativo il fenomeno della criminalità organizzata. La sua eredità risiede nella determinazione di non piegarsi di fronte alle minacce e di continuare a difendere i valori della legalità e della giustizia, un impegno che continua a ispirare e guidare generazioni successive nella lotta contro la mafia e tutte le forme di illegalità.

Nomina procuratore di Marsala

Dopo l’esperienza del pool antimafia di Palermo, Borsellino chiese ed ottenne di essere nominato Procuratore della Repubblica a Marsala, in provincia di Trapani. La nomina, avvenuta il 19 dicembre 1986, fu al di sopra dei requisiti ordinariamente previsti per l’anzianità di servizio.

A Marsala Borsellino si trovò a fronteggiare una mafia diversa da quella palermitana, più radicata nel territorio e meno visibile. Il suo obiettivo fu quello di rafforzare la presenza dello Stato e di garantire la legalità. L’innovazione degli strumenti investigativi come la pratica delle intercettazioni, l’infiltrazione nelle reti di criminalità organizzata e la collaborazione con informatori (pentiti) rappresentarono pilastri fondamentali delle indagini:Attraverso strategie di collaborazione con i “pentiti”, Borsellino riuscì a penetrare il tessuto criminale e a rivelare la complessità delle reti mafiose. Le sue indagini a Mazara del Vallo, un rifugio per alcuni dei criminali più pericolosi di Cosa Nostra, portarono a numerosi arresti e al sequestro di armi e droga, indebolendo significativamente il potere della mafia in quella zona. Questi approcci, in precedenza poco sfruttati, furono determinanti nel capovolgere il paradigma investigativo e nell’ottenere informazioni vitali per contrastare la mafia.

In particolare, Borsellino si occupò delle indagini sulla mafia a Mazara del Vallo, dove si nascondevano alcuni dei latitanti più pericolosi di Cosa Nostra, tra cui Totò Riina. Le indagini di Borsellino portarono all’arresto di numerosi mafiosi e al sequestro di ingenti quantitativi di armi e droga.

Il periodo di Marsala fu un momento importante per la formazione di Borsellino come magistrato antimafia. In questa sede, affinò le sue tecniche investigative e consolidò la sua determinazione a combattere la mafia.

Il Maxi processo

Il Maxi processo di Palermo alla mafia è stato molto importante nella storia, perché ha dimostrato il fatto che esisteva un’ associazione mafiosa chiamata Cosa nostra, che fino a quel momento aveva disseminato il panico in Sicilia. Il maxi processo infatti non era un processo qualunque, per svolgerlo è stato necessario costruire una stanza ad hoc, in cui si sono tenute udienze di fatto ogni giorno, mattina e pomeriggio sabato compreso, mentre in condizioni normali nelle aule di tribunale si devono alternare le udienze di molti processi diversi. Una persona molto importante che partecipò al processo era Tommaso Buscetta, un ex membro dei Cosa nostra che preferì collaborare con la giustizia in cambio di alcuni benefici nelle sanzioni che gli sarebbero toccate. 

Le difficoltà del processo

Sul maxiprocesso pendevano tre spade di Damocle, la prima era il rischio della ritorsione di Cosa nostra: dopo tanti uomini dello Stato uccisi, tra magistrati e membri delle forze dell’ordine, si sapeva che la mafia sarebbe stata capace anche di un’azione eclatante e sanguinosa, pur di fermare il processo ed infatti gli imputati risiedevano in un’area blindata proprio per motivi di sicurezza. Pendevano poi altri due rischi: il bisogno di andare veloci, per evitare che la maggior parte degli imputati, che si trovavano in quella che allora si chiamava carcerazione preventiva e oggi custodia cautelare, uscissero prima della fine per scadenza dei termini. E, in aggiunta, l’arma legale in mano agli avvocati: la possibilità di chiedere la lettura effettiva e integrale degli atti del processo, rara ma prevista dalla procedura, che avrebbe di fatto paralizzato tutto. Entrambe le spade furono risolte dal Parlamento con la Legge Mancino-Violante che il 17 febbraio 1987 stabilì che il computo della durata della custodia tenesse conto dei giorni di udienza e che la lettura degli atti potesse sostituirsi con la specifica indicazione di essi al fine dell’utilizzabilità successiva.

La sentenza di primo grado (19 ergastoli, 2.665 anni complessivi di reclusione, 11.542.000 di lire di multa, 114 assoluzioni) fu pronunciata il 16 dicembre 1987, dopo i 35 giorni della camera di Consiglio più lunga della storia della Repubblica, durante i quali gli otto giudici impegnati vissero nelle stanze blindate predisposte nel retro dell’aula bunker, senza contatti con il mondo avendo cura di non incrociare neppure le persone incaricate di provvedere loro i pasti. Mentre i giudici togati scelsero di non tagliare mai la barba, quasi a rendere fisicamente l’idea del tempo intercorso.

La sentenza di Appello del dicembre del 1990 aveva ridimensionato le pene inflitte in primo grado e in parte mutato la ricostruzione d’insieme riguardo alle responsabilità dei membri della Commissione, pur riconoscendo la struttura verticistica di Cosa nostra. Ma la lettura dei giudici di secondo grado non convinse la Corte di Cassazione che, prima, accolse con rinvio il ricorso del Procuratore generale di Palermo e poi (30 gennaio 1992) rese definitiva la sentenza della nuova corte d’Assise d’appello che riprendeva e confermava la sentenza dei giudici di primo grado, restaurandone le pene e riconoscendo ai membri della commissione la responsabilità di “mandanti” degli omicidi eccellenti.

TRATTATIVA STATO MAFIA

Il processo iniziato nel 2013 a Palermo, sotto la presidenza di Alfredo Montalto,  ha voluto mettere in luce le indagini sulla Trattativa segreta Stato-Mafia, focalizzandosi sull’ipotizzato accordo tra Cosa Nostra, esponenti politici e carabinieri. La sentenza del 20 aprile 2018 portò a condanne per minacce al corpo politico dello Stato, coinvolgendo figure di spicco come Marcello Dell’Utri, accusato di agire da intermediario delle minacce di Cosa Nostra a Silvio Berlusconi. Il verdetto successivo del 23 settembre 2021 tuttavia ribaltò gran parte delle condanne, assolvendo Dell’Utri e ufficiali del ROS, sostenendo che la trattativa non costituisse reato.

Parallelamente, le testimonianze di Giovanni Brusca, Salvatore Cancemi, Vito e Massimo Ciancimino hanno contribuito a evidenziare le trattative avvenute sia prima che dopo le stragi di Falcone e Borsellino. Le indagini si sono sviluppate sotto la guida di magistrati come Di Matteo, Tartaglia e Del Bene, coinvolgendo anche ministri come Mancino e Rognoni. Durante il dibattimento sono emerse una complessa trama di interazioni, intercettazioni e controversie, con telefonate intercettate tra personaggi chiave, come Nicola Mancino (ex ministro degli Interni), e richieste di distruzione delle intercettazioni provenienti dal Quirinale.

Allo stesso tempo, le indagini coinvolsero nomi di rilievo come il generale dei CC Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu, sospettati di aver favorito il mancato arresto di Bernardo Provenzano nel 1995. Massimo Ciancimino, coinvolto nelle fasi successive della trattativa, si ritrovò coinvolto in un incontro casuale con il capitano dei Carabinieri Giuseppe De Donno su un volo Roma-Palermo, sviluppando possibili negoziazioni a favore di mafiosi detenuti, coinvolgendo anche il generale Mori e l’ex sindaco di Palermo.

Una narrazione particolarmente complessa coinvolse Paolo Bellini, associato ad Avanguardia Nazionale e con legami controversi alla strage di Bologna. La sua connessione con Antonino Gioè portò a interazioni che videro coinvolti esponenti dello Stato, come il maresciallo Roberto Tempesta. Tuttavia, tali tentativi si trasformarono in richieste di favori per detenuti mafiosi in cambio del recupero di opere d’arte rubate.

La trattativa, già sfuggente e complessa, subì uno sconvolgimento con la strage di via D’Amelio. Questo Attentato, avvenuto poco dopo l’uccisione di Giovanni Falcone, è stato considerato una rappresaglia contro le indagini della magistratura antimafia. Le morti di Falcone e Borsellino evidenziarono il profondo coinvolgimento di Cosa Nostra e sollevarono dubbi sull’eventuale connivenza o trattative tra mafia e istituzioni. Ha inoltre suscitato sospetti sul coinvolgimento di esponenti dello Stato nella protezione o nella concessione di vantaggi alla criminalità organizzata, alimentando così le indagini sulla Trattativa Stato-Mafia e mettendo in luce il presunto coinvolgimento di funzionari statali nelle azioni mafiose e nelle possibili concessioni per evitare ulteriori attentati.

‘NDRANGHETA

‘La ‘Ndrangheta è una potente organizzazione criminale calabrese ed è considerata la più potente tra le mafie italiane. Controlla una vasta gamma di attività criminali, tra cui traffico di droga, estorsione e corruzione.

Etimologia

L’etimologia del termine ” ‘ndrangheta” ha suscitato diverse interpretazioni. Ecco tre delle spiegazioni proposte:

-Ernesto Ferrero: Nel saggio “I gerghi della malavita dal ‘500 a oggi”, pubblicato nel 1972, Ferrero suggerisce che il termine ” ‘ndrangheta” potrebbe derivare da una voce scherzosa e imitativa che riproduce la perentorietà dell’azione criminale.

-Tullio De Mauro: Sempre nel 1972, Tullio De Mauro propone una connessione tra ” ‘ndrangheta” e le voci “‘ndragarsi” e “‘ndragato,” derivate da “‘ndragari,” il cui significato sarebbe “diventare cattivo o infuriare.”

-Paolo Martino: Secondo Paolo Martino, nel suo saggio “Per la storia della ‘ndranghita,” il termine ‘ndrangheta deriverebbe dal greco classico “andragathía” (ἀνδραγαθία), che si traduce come “valore, prodezza, carattere del galantuomo.” Questa spiegazione si basa sulla forte influenza del greco classico nei dialetti calabresi.

Tra queste interpretazioni, quella di Paolo Martino sembra aver ottenuto il maggior consenso ed è spesso citata come l’etimologia più probabile del termine ” ‘ndrangheta.”.

Origini

Nella primavera del 1792, Giuseppe Maria Galanti fu incaricato di svolgere una missione di ispezione nel Regno di Napoli, che includeva una visita a gran parte della Calabria. La sua esplorazione rivelò una situazione allarmante sia dal punto di vista economico che dell’ordine pubblico.

Galanti scoprì una crescente criminalità e disordini in Calabria. Affermò che l’inefficienza del sistema giudiziario, la corruzione, e l’oppressione da parte dei baroni locali stavano alimentando atti criminali, come rapine e violenze armate. La giustizia era inoperante a causa della mancanza di risorse e di un sistema coerente. Galanti osservò anche che alcuni miliziani locali erano in realtà delinquenti e debitori, i quali si arruolavano nella milizia e ricevevano protezione dai loro comandanti, sfuggendo alle leggi.

Nel Distretto di Gerace (attualmente in provincia di Reggio Calabria) le incursioni dei malviventi nelle campagne erano generalizzate, e la situazione era in peggioramento. I ricchi venivano ricattati, e le vendette personali alimentavano un ciclo di violenza.

La Calabria dell’epoca era caratterizzata da isolamento, mancanza di infrastrutture, povertà diffusa e violenza generalizzata. L’uso diffuso delle armi era la norma, e la corruzione coinvolgeva persino il clero. La religione era spesso praticata in modo superficiale.

Tutto questo creava un contesto di estrema instabilità sociale, che spiegava anche le origini storiche dell’ampio supporto locale a organizzazioni criminali, come la ‘ndrangheta, in epoche successive. Il brigantaggio era diffuso, e spesso aveva un orientamento filoborbonico. La violenza e la brutalità erano comuni e derivavano da ingiustizie subite e dalla tensione sociale.

In questo contesto, l’uso diffuso delle armi e l’atteggiamento di risentimento nei confronti delle ingiustizie contribuivano alla diffusione della violenza e dell’arroganza tra la popolazione calabrese.

Nel XIX secolo, la ‘ndrangheta si sviluppò come una forma di criminalità organizzata prevalentemente rurale. Le prime notizie documentate risalgono agli anni ’80, ma alcuni studiosi suggeriscono che l’organizzazione potrebbe aver avuto origine negli anni ’70 o addirittura prima del 1861.

Il 1869 vide il commissario prefettizio sciolto per decreto regio il comune di Reggio Calabria a causa della presenza di criminalità organizzata nella regione.

Questo periodo storico è caratterizzato da una mancanza di informazioni dettagliate sulla criminalità, attribuibile a una cattiva amministrazione del territorio locale e ai disastri naturali che si verificarono in quegli anni. Durante questo periodo, tra il 1885 e il 1902, furono arrestati 1854 membri di picciotterie, le bande locali.

Verso la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo, i gruppi ‘ndranghetistici si dedicavano all’estorsione, al furto e all’abigeato. Al contrario di oggi, gestivano anche la prostituzione, che all’epoca non era vista come disdicevole. Non esisteva ancora un’organizzazione basata sulla struttura familiare, e somigliava di più alla Camorra campana che alle famiglie mafiose siciliane. Durante quel periodo, la ‘ndrangheta non aveva legami con figure della società civile in grado di proteggerla durante i primi processi.

Inoltre, iniziarono a emergere le prime prove della partecipazione attiva di donne alle attività criminali delle bande. Fu solo a partire dagli anni ’20 del XX secolo che le donne iniziarono a svolgere il ruolo di madri ed educatrici dei valori criminali all’interno delle famiglie ‘ndranghetiste.

Durante questo periodo, le forze dell’ordine esercitarono una pressione discontinua ma più efficace rispetto alle organizzazioni criminali siciliane e campane. In particolare, tra il 1885 e il 1902, furono arrestate e processate 1854 persone affiliate alle picciotterie nell’area circostante all’Aspromonte.

Negli anni ’80, si assistette alla diffusione delle picciotterie. Antonio Nicaso, autore di numerosi libri sulla ‘ndrangheta, attribuisce l’origine della picciotteria al 1884, quando il prefetto di Reggio Calabria, Giorgio Tamajo, segnalò la presenza di camorristi e mafiosi nella città. Il procuratore del Tribunale di Palmi, tra il 1880 e il 1885, parlò di una “forma perniciosissima di delinquenza collettiva importata” a causa della costruzione della ferrovia.

Iniziarono a emergere anche i primi codici con le regole dell’organizzazione, e si registrarono duelli di coltello e sfregi col rasoio a Palmi. Queste picciotterie praticavano l’estorsione nei confronti dei giocatori d’azzardo, delle prostitute e talvolta dei proprietari terrieri.

La picciotteria si diffuse in varie città, tra cui Nicastro e Iatrinoli (ora Taurianova). Nel 1889, 24 persone furono arrestate a Palmi, mentre nel 1888 iniziarono i processi contro 92 membri della picciotteria di Iatrinoli e Radicena. Queste bande criminali si estesero a diverse altre località.

Negli anni ’90, alcuni documenti testimoniarono che la picciotteria operava in modo organizzato come un’istituzione statale a Santo Stefano in Aspromonte, con un fondo sociale e un tribunale. I picciotti ottenevano favori da politici, medici e possidenti terrieri in cambio di referenze e false testimonianze. In questo periodo, il brigante Giuseppe Musolino, noto per le sue azioni, fu affiliato a una picciotteria locale.

Nel 1901, grazie alle rivelazioni di un agente di polizia, la rete di protezione di Musolino fu spezzata, costringendolo a lasciare la Calabria. Durante il processo a Lucca nel 1902, non emerse in modo evidente il coinvolgimento di Musolino nell’onorata società, portando il dibattito su altri temi.

Anni 1900 – Il primo pentito ante litteram

 Nel 1900, a Palmi, venne segnalata nuovamente la presenza della Picciotteria, mentre nella Piana di Gioia Tauro si tenne un processo che coinvolse 299 individui affiliati alla criminalità organizzata. Il capo di questa organizzazione era Francesco Albanese, noto come Tarra. Notevole fu il fatto che Francesco Albanese fu il primo membro di ‘ndrangheta a pentirsi, confessando l’esistenza dell’organizzazione e le sue regole dopo essere stato detenuto per cinque giorni a pane e acqua.

Anni venti e trenta – Il Gran Criminale e l’onorata società di Cirella

 Nel periodo fascista, l’attenzione per contrastare il fenomeno del crimine organizzato in Calabria cresce. Nel 1931, il questore di Catanzaro dichiarò di aver quasi debellato la ‘ndrangheta. Una sentenza del tribunale di Reggio Calabria nel 1933 condannò i capi di cinque ‘ndrine e descrisse l’organigramma di una cosca, suddivisa tra società maggiore e minore. La società maggiore comprendeva affiliati camorristi, mentre la minore coinvolgeva giovani d’onore e picciotti di sgarro. Questa suddivisione aiutò l’organizzazione a spostarsi verso un sistema basato sulle associazioni familiari.

In questo periodo, un esempio emblematico fu la situazione dell’onorata società a Cirella di Platì, in cui la ‘ndrangheta iniziò a prendere il controllo delle attività, tra cui le feste religiose e il matrimonio di donne del luogo. Le faide tra i membri contribuirono a dividere la comunità. Questi eventi sono solo alcuni esempi di quanto accadde in Calabria durante gli anni venti e trenta.

Anni cinquanta – Operazione Marzano e l’identificazione della ‘ndranghita

 Nel 1955, l’operazione Marzano fu avviata per contrastare la ‘ndrangheta, con l’arresto di 261 persone. Questa operazione venne condotta dal questore Carmelo Marzano. L’articolo di Corrado Alvaro sul Corriere della Sera nel settembre del 1955 fu il primo a identificare la mafia calabrese con il nome ‘ndranghita. Questo periodo vide la crescita delle ‘ndrine, con tre delle più importanti a Piromalli nella Piana di Gioia Tauro, Tripodo a Reggio Calabria e Macrì nella Locride. La ‘ndrangheta iniziò anche a operare nel traffico di sigarette illegali.

Anni Sessanta

Grazie allo sfruttamento degli appalti statali e a un’efficiente rete di estorsione, gli anni sessanta videro la crescita delle ‘ndrine. Tre delle più importanti erano i Piromalli nella Piana di Gioia Tauro, comandati da Don Mommo Piromalli, Tripodo a Reggio Calabria, guidata da Don Mico Tripodo, e Macrì nella Locride, con Don Antonio Macrì come capobastone. In questo periodo, iniziarono anche le attività di traffico di sigarette illegali, contribuendo alla crescita delle organizzazioni.

Anni settanta – La prima guerra di ‘ndrangheta

Nel 1975, la ‘ndrangheta fu coinvolta nella sua prima guerra, che durò fino al 1991 e causò circa 300 vittime. Questo conflitto vide una lotta generazionale, con giovani che desideravano partecipare in nuove attività redditizie, come i sequestri di persona e il traffico di droga. Dall’altra parte, gli anziani cercavano di mantenere lo status quo. 

Struttura

La ‘Ndrangheta è un’organizzazione criminale con una complessa struttura gerarchica e territoriale. Originariamente, l’organizzazione era suddivisa principalmente in tre Mandamenti: il Tirrenico, il Jonico e il Centro, con l’aggiunta di diverse Camere di Controllo che operavano all’estero e in altre parti d’Italia.

In passato, la ‘Ndrangheta aveva una struttura più orizzontale, con ogni locale che aveva una zona di competenza ben definita, evitando così conflitti diretti tra le ‘ndrine. Tuttavia, questa struttura non ha impedito lo scoppio di faide tra le ‘ndrine negli anni ’70 e ’80, spesso scaturite da complesse alleanze tra gruppi criminali.

I membri della ‘Ndrangheta vengono chiamati “‘ndranghetisti,” e ci sono diversi gradi di appartenenza all’interno dell’organizzazione, tra cui picciotto, camorrista, sgarrista, santista, vangelista, quartino, trequartino, padrino e capobastone. L’affiliazione alla ‘Ndrangheta può avvenire per nascita, se proviene da una famiglia mafiosa, o tramite un rito di battesimo che lega il nuovo affiliato all’organizzazione a vita.

L’organizzazione è strutturata in base al concetto di ‘ndrina, con sette membri d’onore all’interno di ciascuna ‘ndrina e sette ‘ndrine che compongono il locale, chiamato anche “settandrina.” Questo sistema prevede anche il concetto di “copiata”, che rappresenta l’inclusione di altri uomini d’onore di rango superiore durante i cerimoniali di conferimento di un grado superiore, contribuendo così all’espansione e alla stabilità della ‘Ndrangheta.

All’interno delle famiglie mafiose, esiste una struttura gerarchica basata su gradi, tra cui “picciotti,” “camorristi” e “sgarristi,” rappresentanti della cosiddetta “società minore.” Il capo-locale detiene il grado di “sgarro.” L’ingresso nella ‘Ndrangheta avviene attraverso un rito tradizionale preciso, che può essere eseguito automaticamente poco dopo la nascita, se il soggetto è figlio di un membro importante dell’organizzazione, oppure attraverso un giuramento che vincola il nuovo affiliato all’organizzazione per tutta la vita.

Ogni famiglia mafiosa ha pieni poteri e controllo sul territorio di competenza, esercitando un monopolio su tutte le attività, sia legali che illegali. La disciplina interna è rigorosa, e i problemi tra i membri vengono risolti all’interno del tribunale della cosca.

La ‘Ndrangheta è strutturata territorialmente in mandamenti e commissioni, con una struttura di tipo verticale. La “Santa” o Società Maggiore, composta da santisti, vangelisti, quartini, quintini e associati, funge da entità sovraordinata. Le divisioni territoriali includono il mandamento tirrenico, il mandamento ionico e il mandamento di Reggio Calabria. Le commissioni all’estero e in altre parti d’Italia rientrano sotto la “Provincia” o Crimine, con la probabile riunione della Cupola o Crimine presso il santuario di Polsi, un luogo sacro della ‘Ndrangheta.

Negli ultimi anni, sono state scoperte nuove strutture all’estero, come in Lombardia e in Canada, legate alle commissioni calabresi. Nel 2012 è emersa una nuova struttura, la “Corona,” al di sopra di alcuni locali aspromontani, finalizzata a dirimere questioni interne e competere economicamente con altre ‘ndrine.

La ‘Ndrangheta è un’organizzazione criminale estremamente complessa, caratterizzata da una struttura gerarchica e territoriale altamente organizzata, e la sua presenza si estende oltre i confini calabresi, consolidandola come una delle organizzazioni criminali più potenti al mondo.

-Attività criminali: La ‘Ndrangheta è coinvolta in una vasta gamma di attività illegali, tra cui traffico di droga, estorsione, corruzione, traffico di armi, riciclaggio di denaro sporco, contraffazione e altre forme di criminalità organizzata. Il traffico di cocaina è una delle sue attività più redditizie e ha contribuito notevolmente al suo potere e alla sua ricchezza.

-Diffusione geografica: Sebbene la ‘Ndrangheta abbia origini in Calabria, la sua influenza si è estesa a livello nazionale e internazionale. Oltre all’Italia, l’organizzazione ha una presenza significativa in molti paesi, tra cui Canada, Australia e alcuni paesi europei.

-Violenza: La ‘Ndrangheta è conosciuta per la sua brutalità e la sua propensione a utilizzare la violenza per ottenere i propri scopi. Assassinii, attentati e sparatorie sono parte integrante della sua storia.

-Lotta contro la ‘Ndrangheta: Le autorità italiane hanno intensificato i loro sforzi per combattere la ‘Ndrangheta negli ultimi decenni. Questi sforzi includono arresti, sequestri di beni e la confisca di proprietà legate all’organizzazione. Tuttavia, la ‘Ndrangheta rimane una sfida significativa per le forze dell’ordine e le istituzioni italiane.

-Pericolosità internazionale: La ‘Ndrangheta è stata riconosciuta come una delle organizzazioni criminali più potenti e influenti al mondo, con un vasto impero criminale che si estende oltre i confini italiani.

CAMORRA

Etimologia

L’origine del termine “Camorra” è oggetto di dibattito tra gli studiosi, e diverse teorie cercano di spiegare la sua etimologia. Nel XVII secolo, il termine era inizialmente associato a un tipo di stoffa, ma alcuni linguisti suggeriscono che potrebbe essere derivato da “Gamurra”, un abito femminile dell’Europa del Tardo Medioevo e del Rinascimento, noto per la sua vistosità. 

La prima menzione pubblica del termine risale al 1735, in relazione al gioco d’azzardo. Un atto pubblico autorizzava otto case da gioco a Napoli, tra cui “Camorra avanti palazzo”, attiva sin dal XVII secolo e situata vicino al Maschio Angioino. Questo collegamento con il gioco d’azzardo è ulteriormente supportato da una richiesta a re Carlo III di Borbone che chiedeva di reintrodurre “Li cotte, lo Sghizzo e la Camorra” tra i giochi legali.

Inoltre, in spagnolo, “Camorra” significa “lite” e l’espressione “Buscar camorra” si traduce come “fare a botte”. Date le influenze linguistiche della dominazione spagnola nel dialetto napoletano, alcuni studiosi vedono l’origine del termine in questa connessione.

Recentemente, l’interpretazione di Francesco Montuori propone che “Camorra” possa derivare da “Camerario”, il gabelliere responsabile della riscossione delle tasse in molte amministrazioni italiane. In questa prospettiva, la Camorra potrebbe essere vista come una forma di “tassa” e i camorristi come gli esattori. Questa interpretazione si adatta bene alla principale attività della Camorra, l’estorsione, dove “prendersi la camorra” significa estorcere denaro minacciando o usando la violenza.

Storia

Origini

La Camorra, storicamente, ha radici che si estendono al periodo successivo alla fallita rivoluzione partenopea del 1799, con un’organizzazione che si sviluppò tra il 1810 e il 1820. Benché il mito della sua fondazione sia spesso associato a una presunta riunione nella Chiesa di Santa Caterina a Formello nel 1820, la sua esistenza è comprovata in modo più concreto attraverso le prime tracce documentate.

Un segno della sua antichità rispetto ad altre organizzazioni mafiose è il fatto che il termine “Camorra” appare già nelle Procedure per la repressione del brigantaggio e dei camorristi nelle province infettate, note come legge Pica, nel 1863. D’altro canto, il termine “mafia” fu inserito nel codice penale solo nel 1965, con la legge n.575 “Disposizioni contro la mafia”, in seguito alla Strage di Ciaculli.

Nel 1842, un certo Francesco Scorticelli redasse uno statuto che menzionava la Camorra come “Bella società riformata”. Il concetto di “mafioso” emerse già nel 1863 con la commedia “I Mafiusi della Vicaria”, ispirata a un camorrista che dominava nelle carceri borboniche. Il termine “camurrìa” in dialetto siciliano, che significa “fastidio” o “impiccio”, contribuì a delineare l’immagine di questa organizzazione.

In sintesi, la Camorra si formò nell’ambito delle tensioni politiche e sociali dell’epoca, distinguendosi come una delle prime organizzazioni criminali in Italia, ben prima che il termine “mafia” acquisisca rilevanza giuridica nel codice penale.

Economia e attività criminali

L’economia della camorra si regge soprattutto sul narcotraffico, che rappresenta la maggior parte dei suoi guadagni. Tra le altre attività che occupano una grande fetta degli introiti ci sono: estorsione e usura, inserimento negli appalti pubblici, traffico d’armi e commercio di prodotti contraffatti. Inoltre nel 2013 la DIA (Direzione Investigativa Antimafia) ha rilevato un ritorno anche nel contrabbando di sigarette, nel settore del gioco d’azzardo e delle scommesse: soldi che vengono utilizzati per il riciclaggio di denaro sporco e per essere reinvestiti.

Struttura

La Camorra del Duemila presenta una struttura frammentata e dinamica, contraddistinta da una molteplicità di famiglie o clan distribuiti sul territorio. Questa struttura, in contrasto con le origini più centralizzate della Camorra, si caratterizza per la formazione e la rottura di alleanze in base alle convenienze del momento. Anche durante la faida tra la Nuova Camorra Organizzata e la Nuova Famiglia, l’illusione di una struttura unitaria si dissolse rapidamente dopo la vittoria, generando ulteriori faide tra gli ex-alleati.

Napoli riflette chiaramente la frammentazione della Camorra, con diversi quartieri sotto l’influenza di specifici cartelli o alleanze. A Nord, l’Alleanza di Secondigliano domina i quartieri come Secondigliano, Scampia, Piscinola, Miano e Chiaiano. Tuttavia, anche all’interno di questo cartello, emergono tensioni e faide, come evidenziato dagli arresti del presunto capo Vincenzo Licciardi nel 2008.

Nel Centro Storico e a Forcella, l’alleanza tra i clan Misso, Sarno e Mazzarella controlla l’area Est di Napoli, beneficiando anche dalla caduta del clan Giuliano di Forcella, il cui vertice è diventato collaboratore di giustizia.

Nei Quartieri Spagnoli, dopo le faide degli anni ’90, la situazione sembra essere tornata a una relativa normalità. Nella zona occidentale della città, ci sono almeno quattro clan attivi, mentre a Fuorigrotta, Bagnoli, Agnano e Soccavo, la Nuova Camorra Flegrea è presente, seppur indebolita dal blitz del dicembre 2005.

Il territorio di Caserta è noto per essere dominato dal Clan dei Casalesi, mentre altre aree interne della Campania, come il Cilento, il Vallo di Diano, gli Alburni, l’Alta Irpinia e il Beneventano, mostrano una scarsa o ininfluente presenza della Camorra. Questa situazione è attribuibile al fatto che la Camorra, essendo una forma di criminalità urbana, non è storicamente legata al latifondo, a differenza di Cosa Nostra in Sicilia.

LE ALTRE MAFIE

Sacra Corona Unita (SCU) è un’organizzazione criminale originaria della Puglia. Sebbene sia meno conosciuta rispetto ad altre mafie italiane, è coinvolta in attività criminali come il traffico di droga, la criminalità organizzata e l’estorsione.

-Origini: La Sacra Corona Unita ha origini relativamente recenti rispetto ad altre organizzazioni mafiose italiane. Si ritiene che sia emersa negli anni ’70 come risultato dell’unione di vari gruppi criminali preesistenti nella Puglia, in particolare nella provincia di Bari.

-Struttura: L’organizzazione è composta da vari clan o famiglie criminali che operano all’interno della SCU. Come altre mafie italiane, la SCU è fortemente gerarchizzata e controlla diverse attività illegali in modo coercitivo.

-Attività illecite: La SCU è coinvolta in diverse attività criminali, tra cui il traffico di droga, l’estorsione, il racket, il contrabbando, il gioco d’azzardo illegale e altre attività illegali. La sua influenza e le sue operazioni sono concentrate principalmente nella regione della Puglia, ma l’organizzazione ha esteso la sua presenza in altre parti d’Italia e all’estero.

-Lotta contro la Sacra Corona Unita: Le autorità italiane hanno lavorato per contrastare la SCU negli anni, ma l’organizzazione rimane attiva e costituisce ancora una sfida per le forze dell’ordine.

-Vittime: La SCU ha causato vittime tra i membri delle organizzazioni rivali e tra i civili. Alcuni magistrati e giornalisti che hanno cercato di denunciare le attività della SCU sono stati minacciati e assassinati.

-Stidda (Stella in siciliano) è una piccola organizzazione criminale che opera principalmente in Sicilia, ma rappresenta una concorrenza per la Cosa Nostra. La sua influenza è limitata rispetto ad altre mafie italiane, ma rimane attiva in alcune aree della Sicilia.

-Banda della Magliana: Questa era un’organizzazione criminale fortemenete attiva a Roma negli anni ’70 e ’80 e ancora in vita secondo le indagini della magistratura romana. Coinvolta in vari reati, tra cui il traffico di droga, il rapimento e l’estorsione.

MAFIA NON È SOLO UN PROBLEMA “LOCALE”

Sin dalla loro nascita le organizzazioni criminali hanno sempre saputo cogliere occasioni, sfruttare le debolezze ed apprendere conoscenze e materiali all’avanguardia.

In questo caso è interessante analizzare lo sviluppo della mafia italiana non vincolato al territorio nazionale, bensì diffuso in tutto il mondo amministrando e concordando operazioni con le organizzazioni estere.

Il processo di espansione cominciò nella fine XIX secolo: infatti con l’emigrazione di siciliani e calabresi negli Stati Uniti vennero create organizzazioni locali con lo scopo di sfruttare le vulnerabilità economico-sociale dei migranti.

Col passare del tempo, questo processo di esportazione venne accelerato da una repressione interna: con l’arrivo del periodo fascista in sicilia venne mandato il prefetto Cesare Mori, il quale attuò una politica drastica con l’arresto di centinaia di partecipanti mafiosi e con la confisca dei beni. 

Questa situazione obbligò molti boss a fuggire da quei territori e molti si rifugiarono nella ormai nuova Italia creatasi nel continente americano.

UN’ UNIONE EUROPEA PARALLELA

Nei 28 Paesi membri dell’Unione Europea sono attualmente sotto indagine circa 5mila organizzazioni criminali, di queste, sette su dieci operano in più Stati, e quasi la metà in più di un settore criminale. I loro membri vantano 180 diverse nazionalità, anche se il 60% è europeo doc. La droga resta il maggiore mercato illecito dell’Unione, a cui si dedica un terzo dei gruppi, per un valore al dettaglio stimato 24 miliardi di euro l’anno. Se eroina, cocaina e cannabis sono prodotte fuori dai confini comunitari, le droghe sintetiche sono per lo più autoctone e, al contrario, esportate nel resto del mondo. Tutte insieme si spartiscono quindi un mercato illecito stimato in quasi 110 miliardi di euro, pari a circa l’1% del pil dell’Unione.

La maggior parte di queste organizzazioni riciclano i profitti dei loro traffici ed arrivano anche a condizionare la vita economica e sociale di pezzi di territorio. 

Da almeno un decennio il Parlamento di Strasburgo approva documenti che chiedono di estendere a tutti i Paesi membri dell’Unione Europea, dove presenti associazioni mafiose, l’articolo 416 bis presente nel codice penale italiano. Finora tutto questo è rimasto lettera morta, a causa dell’opposizione di diversi Paesi membri, nonostante le pressanti richieste della polizia e la magistratura dell’UE.

Le mafie e le organizzazioni criminali si dedicano quindi allo “shopping giuridico”, cioè approfittano dei Paesi dove norme e  indagini sono più morbide per agire. Già a metà degli anni Ottanta lo ‘ndranghetista Giacomo Lauro trafficava cocaina nei Paesi Bassi, dove poi fu arrestato nel 1992. In quegli anni la Direzione investigativa antimafia italiana stimò che la criminalità calabrese avesse “rappresentanti di commercio” in venti Paesi europei. 

In Germania, due anni più tardi vi fu la strage di Duisburg nel 2007, in cui ci fu l’esecuzione in pubblica piazza di 5 ndranghetisti dimostrando a chi ancora non volesse crederci che le mafie erano diventate un fenomeno europeo.

Su richiesta delle autorità italiane, la polizia tedesca riuscì a registrare la riunione di una locale di ‘ndrangheta a Singen; parallelamente nei Paesi Bassi destò perplessità la recente scoperta degli interessi mafiosi nel mercato dei fiori, storico vanto nazionale.

Negli ultimi anni sono stati fatti passi avanti, riconosciuti anche dagli addetti ai lavori, ma su almeno due punti cruciali la macchina gira a vuoto, ovvero l’estensione del reato di associazione mafiosa, che è ancora presente solo in Italia con l’articolo 416 bis del codice penale, e la possibilità di confiscare beni alla criminalità organizzata anche in assenza di una condanna definitiva.

Da Oriente ad Occidente

La mafia italiana è affiliata alle organizzazioni criminali più potenti del mondo. Queste alleanze strategiche consentono alle associazioni nostrane di estendere la loro portata e le loro attività criminali. Tra tutte si distinguono la mafia russa e i cartelli sudamericani.

Nel ambito della mafia ex-sovietica si distinguono relazioni con la Ndrangheta calabrese, in cui vengono contemplati il riciclaggio di denaro sporco, il settore finanziario e immobiliare, quello delle energie rinnovabili, del traffico d’armi e di esseri e organi umani.

Punti di contatto ci sono sia con la camorra napoletana che con quella dei casalesi soprattutto sul traffico di rifiuti pericolosi.

Collegato ai rapporti con l’Asia, emerge un ulteriore business caratterizzante delle organizzazioni criminali: il traffico di rifiuti. Materie plastiche e stracci dall’Italia alla Cina hanno generato guadagni milionari per i clan cinesi ed italiani. Seguendo un’indagine svolta nel 2017 sono sorti questi dati: nell’operazione vennero coinvolte 98 persone e 61 società, con accuse di associazione per delinquere transnazionale legata al traffico illecito di ingenti quantitativi di rifiuti plastici. Il modus operandi coinvolgeva la vendita di materie plastiche in Cina sotto la classificazione di “Mps” (materia prima seconda), consentendo agli italiani guadagni dalla vendita e ai cinesi l’acquisto di materie prime a un costo inferiore. Questo intricato traffico transnazionale, impegnava centinaia di spedizioni attraverso porti italiani principali come Livorno, Genova, Venezia e La Spezia. 

La complicità delle Dogane ha facilitato il flusso di container carichi di rifiuti plastici verso Hong Kong. Coinvolti nel traffico transnazionale sono anche membri del clan camorristico “Fabbrocino” e gli Ascione, già noti per le loro attività illecite nel settore. Da parte di intermediari italiani si sono create decine di società utilizzate per le spedizioni verso la Cina.

Un pioniere dei traffici internazionali: Don  Vito Cascio Ferro

Uno dei primi mafiosi del 20esimo secolo che decise di agire fuori dall’Italia è stato Vito Cascio Ferro, meglio conosciuto come Don Vito.

Vito Cascio Ferro è stato un mafioso italiano, il quale fu legato sia a Cosa Nostra, e sia alla «Mano Nera» di New York, ovvero un’insieme di società della malavita che a partire dall’inizio del 1900 svilupparono una clamorosa attività criminale praticando estorsioni all’interno delle comunità italiane nelle città statunitensi.

Egli nacque a Palermo da una povera famiglia contadina, ma poco dopo si trasferì con la famiglia a Bisacquino poiché il padre era stato assunto come custode dei campi presso un locale feudo.

 Nel 1892, entrò a far parte del Fascio contadino di Bisacquino,  ma a causa della dura repressione attuata dal Ministro dell’interno Francesco Crispi nei confronti dei Fasci siciliani si trovò costretto ad abbandonare la Sicilia nel 1894.

Tornato a Bisacquino poco tempo dopo, Cascio Ferro  fece richiesta per entrare a far parte del Circolo dei Civili di Bisacquino, frequentato dai locali proprietari terrieri, ma la sua domanda d’iscrizione venne respinta all’unanimità.

Nel 1898 venne arrestato per il rapimento della baronessina Clorinda Peritelli di Valpetroso e subì una condanna di tre anni. Una volta scontata, nel 1901 si recò a Le Havre, in Francia, per imbarcarsi sulla nave La Champagne per gli Stati Uniti.

Una volta a New York si unì alla cosca di estorsori e falsari capeggiata da Giuseppe Morello e dai suoi fratellastri Vincenzo, Nicola e Ciro Terranova che lo coinvolsero nelle attività della «Mano Nera», le quali consistevano in estorsioni all’interno del quartiere italiano di New York, chiamato Little Italy, accompagnate da danneggiamenti e minacce di morte per tutti coloro che rifiutavano di pagare loro il «pizzo» e di acquistare i dollari falsi stampati dalla loro banda. Nel 1902 Cascio Ferro venne arrestato dai servizi segreti statunitensi per contraffazione di banconote, ma non venne condannato perché riuscì a procurarsi un alibi.

Nel 1926 il Servizio Interprovinciale di Pubblica Sicurezza, creato da Cesare Mori per arrestare i sospetti mafiosi, rastrellò la zona che include Bisacquino, Corleone e Contessa Entellina, arrestando 150 persone sospette, tra cui Cascio Ferro che fu accusato di omicidio. In un primo momento egli riuscì ad ottenere la libertà su cauzione ma fu arrestato di nuovo nel 1928 a Sambuca di Sicilia e portato nel carcere di Sciacca. Nel 1930 la Corte d’Assise di Agrigento lo condannò all’ergastolo per omicidio.

Vito Cascio Ferro morì poi nel 1943 nel carcere di Pozzuoli, dove fu dimenticato durante l’evacuazione del carcere, poiché su Napoli erano previsti bombardamenti aerei anglo-americani.

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